Dobbiamo raggiungere una misteriosa ed esotica Rignano Garganico, tappa intermedia, ma meta promessa tutti i giorni da un cartello stradale all’incrocio sottocasa, e finalmente accessibile alla curiosità etno-geografica di un bambino di otto anni.
Il mio ricordo di quel giorno si ferma qui, agli oleandri rossi alle porte di Rignano.
Come faccio a ricordarmi allora del monaco?
Eh, in zona il frate faceva scalpore!
Se ne parlava in casa, nelle riunioni festive con i parenti, ne discutevano gli amici di mio padre…le stimmate? No, non ricordo niente delle stimmate, nè ricordo niente della paccottiglia miracolistica venuta fuori adesso, nonostante l’abbia fomentata lui stesso per istrionismo e perchè questa è ritenuta essenziale dai cattolici.
I racconti che sentivo, divertiti ed ammirati, riguardavano questo formidabile monaco il cui consiglio permeato di una saggezza concreta, terrena, era ricercato da paesani e forestieri. Si narrava di targhe che attestavano provenienze calcolabili in centinaia di chilometri, percorsi per chiedere soluzioni su eredità, liti familiari, faide, gelosie, furti, truffe e colpevoli…
E sempre si citava il caso di qualche ozioso sfaccendato che si inventava una questione farlocca per gabbare il monaco e che veniva immediatamente sbugiardato… quelli poi che si recavano al convento per deriderlo, il monaco li individuava e li cacciava violentemente, prima ancora che aprissero bocca, fra lo stupore soprattutto degli stessi fannulloni.
Era questo che produceva l’ammirazione dei presenti: a me non pare difficile che una persona intelligente riesca a leggere negli occhi di chi gli sta di fronte, e capirne le intenzioni, ma le udienze del monaco, a quanto pare, erano sensazionali: la forte personalità, la saggezza e l’intelligenza esercitate sulla lunghezza d’onda del popolo, l’efficacia dei consigli, la furbizia, che gli evitava di essere gabbato.
Miracoli… l’unico vero miracolo di padre Pio é stato trasformare un paese abitato da poveri straccioni, del tipo che fa fatica a mettere il pane in tavola e che passa la vita a zappare i pochi centimetri di terra libera fra una roccia e l’altra, in una miniera d’oro in cui tutti hanno trovato la zuppa, e pure abbondante.
E l’ospedale, costruito con le offerte.
No, non si parlava delle offerte, né di un qualche benessere materiale derivato al monaco dalla sua fama. Anni dopo avrei visitato la sua cella: notai la dignitosissima sistemazione, la presenza di un termosifone in anni in cui il resto del paese si riscaldava al camino, ma erano pula di grano rispetto alle offerte che affluivano al monastero.
E le donne, certo, se ne parla ancora, ma ho l’impressione che all’epoca non facesse poi tanto scandalo il sospetto di notturni congiungimenti carnali…
il cane notturno…o meglio, il diavolo che visitava il monaco di notte sotto forma di un grande cane nero che ne straziava le carni, causandone le alte urla…
Perché mi viene in mente il cane nero, se stavamo parlando delle donne?
Immagini i monaci confratelli che di notte scorgono sagome scure, fagotti informi che percorrono i corridoi ed entrano ed escono dalla cella del monaco… poveri novizi che, debitamente spaventati dagli avvertimenti riguardo alle visite notturne del famelico cane nero, si accostano ai muri, abbassano lo sguardo e pregano di non suscitare le attenzioni diaboliche… se pure sentissero la risata sommessa della giovane beghina sotto il fagotto nero, non dubiterebbero dell’essenza satanica dell’apparizione…non é forse diavolo la donna?
Figuriamoci, il cane nero, le urla… ed il mattino dopo, miracolosamente, dei morsi strazianti appioppati dal cagnone diabolico, non rimaneva traccia, almeno sulle parti scoperte…
in compenso comparivano le stimmate.
Ma, come dicevo, la vera storia del monaco deve essere ancora raccontata.
Nicola Lembo