La tecnologia, quando interviene sulla produzione degli alimenti, genera preoccupazione (curiosamente, i trattamenti di trasformazione e conservazione molto meno);
il ricorso all’ingegneria genetica per la produzione di “OGM” (organismi geneticamente modificati) scatena fantasie legate alle conseguenze che avrebbe nell’organismo umano una modificazione genetica ed ogni informazione che stuzzica questi timori trova attenzione acritica: la conseguenza è che passano informazioni errate e fuorvianti fino a creare un “oscurantismo laico” che, se viene sommato alle resistenze religiose, in altri ambiti può apportare molti danni al progresso umano.
Nell’ambito alimentare, visto il crescente fabbisogno delle popolazioni in costante aumento, la ricerca tecnologica è fondamentale; diventa quindi molto importante l’informazione sulle biotecnologie usate ed ancora più importante che tali informazioni siano corrette.
Un’ipotesi di tanto in tanto sorretta da esperimenti tutti da verificare è che modificare il patrimonio genetico dei vegetali porti a prodotti alimentari cancerogeni: ciò presuppone che il DNA vegetale modificato entri nelle cellule umane prendendo il posto del DNA cellulare, o perlomeno modificandolo: ma può avvenire ciò?
La sigla DNA indica l’acido desossiribonucleico; ha funzione di magazzino delle informazioni necessarie alla sintesi di altri acidi nucleici e delle strutture proteiche; se danneggiato, porta alla produzione di molecole prive della necessaria attività o peggio con un’attività irregolare.
La sua molecola è formata da tre elementi: il gruppo fosfato e il desossiribosio (un carboidrato) sono sempre gli stessi, in tutte le molecole di DNA di qualsiasi essere vivente: le modifiche genetiche operate non riguardano in alcun modo tali componenti;
il terzo componente presenta una variabilità relativa: è una “base purinica” e ne sono presenti quattro: adenina, guanina, citosina e timina; anche queste basi sono sempre le stesse in ogni cellula di ogni organismo vegetale o animale: quindi le cellule delle liane che secernono il curaro hanno le stesse quattro basi puriniche delle cellule nervose che il curaro paralizza;
è la diversa disposizione di queste basi nella catena del DNA che conferisce le differenti caratteristiche di codice a ciascuna molecola di DNA.
L’ingegneria genetica compie variazioni di questa sequenza delle basi, non ne “inventa” di nuove, quindi non inserisce nel DNA elementi diversi da quelli universalmente presenti.
Quando ingeriamo gli alimenti assumiamo un elevatissimo numero di cellule contenenti ciascuna innumerevoli molecole di DNA: l’organismo non assorbe tali molecole intere, ma i processi digestivi le sciolgono nei componenti fondamentali, per cui:
1) se assumiamo cicoria selvatica cresciuta su terreni incolti ingeriamo le molecole separate di fosfato, desossiribosio, adenina, guanina, citosina e timina.
2) se assumiamo mais transgenico ingeriamo le molecole separate di fosfato, desossiribosio, adenina, guanina, citosina e timina.
Quindi dopo la digestione del DNA non vi è alcuna differenza riguardo i principi nutritivi assunti; il rischio (non cancerogeno) potrebbe derivare dalle proteine sintetizzate NELLA PIANTA a cura del DNA modificato, nel senso che l’alimento potrebbe contenere proteine diverse, e quindi potenzialmente tossiche o allergeniche, rispetto alle varietà naturali: ma è scontato che il frutto delle varietà transgeniche non può essere prodotto ed immesso sul mercato senza una semplice valutazione qualitativa dei componenti.
Il pericolo maggiore insito nel ricorso all’ingegneria genetica è un altro, vale a dire l’impoverimento delle specie biologiche del pianeta: se una varietà transgenica di grano fornisce rese più abbondanti finirà per sostituire tutte le altre varietà nelle coltivazioni; qualora si rivelasse vulnerabile ad un parassita la popolazione mondiale soffrirebbe per un anno intero una spaventosa carenza alimentare e sopravvivrebbero solo gli individui, e le nazioni, in grado di accaparrarsi le risorse alimentari residue.
Negli anni successivi si potrebbe far ricorso alla coltivazione di altri cereali per placare la fame, ma prima di rivedere una produzione di grano sufficiente potrebbero passare decenni.
Per la verità si corre tale rischio non solo con il ricorso a tecniche di ingegneria genetica ma anche con selezioni di varietà riprodotte per talea (individui generati da un solo genitore e quindi senza variazione genetica) e non con il naturale sistema della semina (che dà individui generati da due genitori, con patrimonio genetico variabile).
La talea, come l’ingegneria genetica, forma quindi popolazioni vegetali dal patrimonio genetico fisso, per cui in caso di attacco di parassiti non è più una frazione della popolazione a perire, ma tutta la specie.
Questo ad esempio è capitato alla banana Gros Michel negli anni 50 per l’infezione micotica chiamata “malattia di Panama” ed é il destino a cui potrebbe andare incontro nei prossimi anni la banana Cavendish, quella consumata in tutto il mondo, visto che le piantagioni derivano tutte dallo stesso singolo progenitore e non presentano alcuna variabilità genetica.
Va valutato inoltre l’impatto ambientale di quelle che si possono prefigurare come nuove specie: potrebbero essere meno “ospitali” con insetti non infestanti come le api; i parassiti a cui le nuove varietà saranno resistenti potrebbero sviluppare nuove strategie di attacco.
Vi sono poi fattori economici come l’aggravarsi delle difficoltà dei paesi “in via di sviluppo” se i brevetti dovessero essere costosi, costringendoli a coltivare le meno concorrenziali varietà originarie (alcune varietà sono rese sterili per obbligare all’acquisto dai produttori).
Va quindi evitato il rischio che l’ingegneria genetica sia applicata da apprendisti stregoni e sarà necessario che se ne occupino organismi sovranazionali, lo stesso però non è opportuno alimentare timori infondati visto che, se opportunamente controllati, gli OGM possono aumentare le risorse alimentari del pianeta e consentire un minore ricorso ai pesticidi.
Nicola Lembo
The technology, when it intervenes on food production, generates concern (curiously, the treatments of processing and storage much less);
the use of genetic engineering for the production of "GMO" (genetically modified organisms) unleashes fantasies related to the consequences that would have in the human genetic modification and any information that teases these fears is uncritical attention: the consequence is that go wrong information and misleading to create a "secular obscurantism" that, when added to the religious resistance, in other areas can make a lot of damage to human progress.
In the food, given the growing needs of populations growing steadily, technological research is crucial; becomes very important information about biotechnology use and even more important that this information is correct.
Hypothesis occasionally supported by experiments to be verified is that modify the genetic heritage of the plant will lead to food carcinogens: this assumes that the plant DNA modified enter into human cells taking the place of the cellular DNA, or at least modifying it: but can this happen?
The symbol indicates DNA deoxyribonucleic acid; acts as the warehouse of information necessary to the synthesis of other nucleic acids and protein structures; if damaged, leading to the production of molecules without the necessary activities or worse with irregular activity.
Its molecule is composed of three elements: the phosphate group and the deoxyribose (a carbohydrate) are always the same, in all the DNA molecules of any living being: the genetic changes made do not in any way such components;
the third component has a relative variability is a "purine base" and they are four: adenine, guanine, cytosine and thymine; even these basics are always the same in every cell of every organism plant or animal: then the cells that secrete the lianas curare have the same four purine bases of nerve cells that curare paralyzes;
is the different arrangement of these bases in the DNA chain which gives the different characteristics of code to each DNA molecule.
Genetic engineering makes variations of this sequence of bases, not "invent" new, so it fits into the DNA elements other than universally present.
When we consume foods we assume a high number of cells each containing many DNA molecules: the body does not absorb these molecules whole, but the digestive processes of the melt in the core components, for which:
1) if we assume wild chicory grown on fallow land ingest the separate molecules of phosphate, deoxyribose, adenine, guanine, cytosine and thymine.
2) if we assume transgenic corn ingest the separate molecules of phosphate, deoxyribose, adenine, guanine, cytosine and thymine.
So after digestion of DNA, there is no difference regarding the nutrients taken; the risk (not cancerous) may derive from proteins synthesized IN PLANT by the modified DNA, in the sense that the food may contain different proteins, and therefore potentially toxic or allergenic than the natural variety: it is assumed that the result of the varieties Transgenic can not be produced and placed on the market without a simple qualitative assessment of the components.
The greatest danger inherent in the use of genetic engineering is another, namely the depletion of biological species on the planet: if a variety of transgenic corn provides more abundant yields will eventually replace all other varieties in crops; if it proves to be vulnerable to a parasite the world's population suffer for a whole year an appalling lack of food and survive only individuals and nations, able to grab the food resources remaining.
In later years he could have recourse to the cultivation of other cereals to appease hunger, but before seeing a production of enough corn may take decades.
In truth, we run the risk not only with the use of genetic engineering but also with selections of varieties propagated by cuttings (individuals generated by a single parent and therefore no genetic variation) and not with the natural system of planting (which gives individuals generated by two parents, with genetic variable).
The cuttings, such as genetic engineering, shape then plant populations by genetic mobile, so that in case of damage by pests is no longer a fraction of the population to perish, but all species.
This example happened to the Gros Michel banana in the 50s for the fungal infection called "Panama disease" and is the fate that might be encountered in the coming years the Cavendish banana, that consumed all over the world, since the plantations all derive from the same single parent and do not show any genetic variability.
It should be also evaluated the environmental impact of what we can anticipate how new species may be less "hospitable" with no pest insects like bees; parasites to which the new varieties will be resistant could develop new strategies of attack.
Then there are economic factors such as the worsening of the difficulties of the countries "developing" whether patents should be expensive, forcing them to cultivate less competitive original varieties (some varieties are made sterile to force the purchase by producers).
It should therefore avoided the risk that genetic engineering is applied to apprentice sorcerers and will need to handle it all supranational bodies, but the same is not appropriate food unfounded fears because, if properly controlled, GMOs can increase the food resources of the planet and allow a lower pesticide use.
Nicola Lembo